domenica 4 gennaio 2009

ARCHIVIO STORICO DEL CORRIERE DELLA SERA VIENE CITATO IL NAPOLI CLUB BOLZANO


Corriere della Sera
LA STORIA
" Sua dissipatezza " don Ferdinando non diceva mai no

TITOLO: "Sua dissipatezza" don Ferdinando non diceva mai no "Modellisti padovani: fora i schei!". Ve l' immaginate che scena se, un po' per sfizio e un po' per farsi perdonare qualcosa dagli azionisti che dal 1987 in qua hanno visto crollare le "risparmio" da 1.926 a 534 lire e dal 1992 precipitare le "ordinarie" da 3.800 a 589, il Banco di Napoli volesse e potesse recuperare qualche secchiello del fiume di denari con il quale per anni alluviono' magnanimo gli orticelli di centinaia e centinaia di amici e amici degli amici soprattutto legati a Mamma Dici' e ai suoi baroni partenopei? Una delle liste dei benificiati, pubblicata ai bei tempi da La Voce della Campania, merita di essere riletta. C' e' di tutto. Dalla sposorizzazione dei musicofili dell' Associazione Scarlatti, presieduta guardacaso da Raffaele Minicucci, allora membro del comitato esecutivo del Banco di Napoli, a quelle della Federazione ginnica d' Italia, dell' Unione per le province abruzzesi, del centro studi Don Sturzo, di una polisportiva di Ancona, del Rotary Club di Bergamo, dei Lions di Mercato San Severino. Tutto si dica, ma non che ' O Professore fosse tirchio. Basti pensare che per un migliaio di copie di un libro di 89 pagine, "Napoli, una capitale d' Europa" arrivo' a scucire, crepi l' avarizia, centoquaranta milioni. Qualche invidioso diceva che tirava fuori il grano per il Circolo Nautico di Posillipo, un bel pacco di sonanti dollaroni, solo perche' c' era di mezzo il fratello dell' allora potentissimo Paolo Cirino Pomicino, detto ' o Ministro. Mica vero. Lui non sapeva dire di no a nessuno. Alle associazioni ricreative degli allevatori sardi e alle bocciofile sannite, alle polisportive di Ancona, ai Napoli Club di Bolzano e ai pallavolisti di Cicciano. E poteva mai dimenticare, nella sua generosita' , l' Associazione Redenzione Maria Annunziata di Avellino? No. E non se ne dimentico' . Un cuore d' oro aveva, don Ferdinando Ventriglia. E nell' oro viveva: stipendi da favola per se' e i dipendenti cosi' da esser sempre circondato dal sorriso, suites nei migliori alberghi del mondo a partire da quella nel lussuoso Excelsior di Napoli dove soggiornava trattato con il riguardo che si doveva alla corte di Giovanni il Perfetto, progetti faraonici di eliporti e flottiglie aeree, sedi di prestigio aperte a ripetizione da un capo all' altro del pianeta. Come quella aperta a Los Angeles, per la cui inaugurazione porto' in gita hollywoodiana in California una trentina di persone, tra dirigenti, mogli, amiche, giornalisti, trattati come pascia' : top class in aereo, camere imperiali, ristoranti da duecento dollari a botta con la bottiglia di Dom Perignon perennemente sul tavolo per umiliare i vinelli della Napa Valley. Per non parlare della generosita' con cui assisteva i suoi protetti e soprattutto le sue protette. A partire dalla bella e brava Lina Sastri, puntualmente invitata a soire' di gala ogni volta che qui e la' veniva aperta una filiale. O a Clotilde Izzo, una docente di francese che don Ferdinando tento' di trasformare in una nuova Elvira Sellerio convincendo una miriade di amici imprenditori, quelli che poi lui stesso finanziava, a investire su una piccola casa editrice, la "Guida Editori", per la quale o' Professore nutriva grandi ambizioni: "Acca' vulimmo fa' an' ata Adelphi!". Progetto defunto contemporaneamente alla dipartita del Mecenate, avvenuta un pomeriggio di dicembre del 1994. Sua Dissipatezza Ferdinando, alla faccia dei leghisti che qualche anno dopo avrebbero scatenato il putiferio presentando la bellezza di 1001 emendamenti alla legge passata ieri grazie alla decisione del governo di porre la fiducia, nel tentativo di far affondare l' ennesima ciambella di salvataggio, non badava a spese. E se e' vero che negli ultimi tempi, dopo che s' era accorto della voragine, qualcuno dice di averlo visto perfino, terreo in volto ed elegantissimo nel suo abito di Blasi, scopare il pavimento del suo attico maledicendo l' esercito di usceri, commessi e donne delle pulizie che gli avevano lasciato "' sta schifezza", per anni nessuno aveva trattato i dipendenti come lui. Basti dire che la percentuale dei dirigenti era tripla rispetto alla media italiana e che il costo del lavoro medio era nel 1994 di 114 milioni l' anno. Tre in piu' rispetto alla media dei sette istituti italiani piu' importanti, otto in piu' di quella nazionale. Quelli del ristretto giro della sua corte, i Gianpaolo Vigliar e i Pietro Giovannini e gli altri che un giorno sarebbero stati chiamati a rispondere sull' abisso di 12 mila miliardi, se lo ricordano bene. In qualsiasi momento, anche il piu' drammatico, anche il piu' teso, anche quello in cui si doveva discutere di finanziamenti azzardati (una litania: la banca partenopea riusci' a inguaiarsi perfino nella fallimentare costruzione del tunnel sotto la Manica) lui era capace di decretare, come racconta Massimo Giannini, un' istantanea sospensione: "Mo pero' c' accattammo nu baba' ". Certo, non sono state le elargizioni di Sua Dissipatezza ai pallavolisti di Cicciano a portare alla rovina un colosso come il Banco di Napoli, cosi' antico coi suoi 457 anni che fu fondato sotto Carlo V e cosi' prestigioso che fino al 1926 ebbe il privilegio di battere moneta. I veri motivi del disastro sono piu' seri, importanti, pesanti. E vanno dalla sventurata partecipazione a tutti gli affari piu' sbagliati degli ultimi anni (Ferruzzi, Efim, Belleli, Fochi, compreso il finanziamento di 1500 miliardi per il ciclopico laminatoio di Bagnoli chiuso che ancora penzolava il nastro inaugurale), al finanziamento di imprese legate alla camorra, alla gestione peronista dei rapporti con la clientela. Basti dire che fino a pochi anni fa venivano accettati pegni inferiori alle 20 mila lire. Ma certo quei rivoli di denaro, riletti oggi, offrono una immagine accecante di una gestione allegra che grida vendetta. Come grida vendetta il piu' alto tasso di sindacalizzazione del pianeta, che tocco' vertici siderali: 2240 delegati sindacali a vario titolo su 11.600 dipendenti, uno su cinque. O il parco dirigenziale, che arrivo' a comprendere 31 direttori centrali. O ancora gli stipendi nella lussuosa dependance dell' Isveimer: 375 milioni di media l' anno. Duecento in piu' di quelli che prendono a Mediobanca. Quei pidocchiosi.

Stella Gian Antonio

Pagina 27
(25 ottobre 1996) - Corriere della Sera
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